GUACAMAYA – Controvento, controcorrente: vent’anni di punk e verità scomode

I Guacamaya non le mandano a dire. Da oltre vent’anni portano in giro un punk viscerale, militante e senza compromessi. Tra sarcasmo, critica sociale e una sincerità che taglia come un coltello, la band continua a essere una voce fuori dal coro. Li abbiamo intervistati per parlare del nuovo album Come Bussole Senza Rotta, di scene che si appiattiscono e dell’importanza di suonare ancora “per esigenza e per rivolta”.

GUACAMAYA – Controvento, controcorrente: vent’anni di punk e verità scomode

“Come Bussole Senza Rotta” sembra un disco fatto di pancia e di cuore. C’è stato un momento preciso in cui avete capito che questo sarebbe stato il vostro nuovo album, il vostro nuovo modo di raccontarvi?
REB: Nasce tutto con IO NON SUONO PER TE, da lì abbiamo capito che erano maturi i tempi per scrivere cose nuove.
Tra l’altro doveva essere questo il titolo iniziale dell’album poi abbiamo optato per “Come Bussole Senza Rotta” perchè dava una visione molto più globale dell’album e di quello che volevamo raccontare.

Avete collaborato con artisti come Daniele Coccia, Marino Severini, Path e Dj Myke. Come nascono queste connessioni? Sono più incontri di strada, di palco o di anima?
REB: Quelle con Daniele, Marino e Path sono sicuramente dettate da una profonda amicizia che ci lega da anni di strada e palchi oltre che dall’ammirazione che abbiamo per ognuno di loro in qualità di artisti. Per Dj Myke il discorso è diverso perchè ATARASSOFOBIA è un pezzo che esisteva già composto da Dj Dinho a cui io avevo dato voce e testo. Quando l’abbiamo ripreso in chiave ovviamente più rock sapevamo dall’inizio che, per renderla completa e come la volevamo noi, sarebbe servito “il tocco magico” di un’artista dello skretch. Dj Myke credo sia uno dei migliori in Italia e quando lo abbiamo coinvolto si è mostrato subito entuasiasta del pezzo dimostrandosi anche una persona meravigliosa.

Nella vostra storia non vi siete mai fossilizzati su un genere unico. In un mondo che tende a incasellare tutto, quanto è stato difficile (o liberatorio) portare avanti questa coerenza nell’incoerenza?
REB: Non è mai stata una scelta rigida ma qualcosa che ci è sempre venuto naturale. Forse perchè da subito abbiamo avuto come ideale i Clash o i Rancid rispetto a Ramones o Nofx. Tra l’atro col passare degli anni e dei musicisti che si sono alternati nel progetto, sono aumentati “gli ascolti” di band musicalmente opposte e che poi hanno influenzato quel che siamo. Quindi, se da una parte è totalmente liberatorio perchè ti senti davvero libero di far quel che ti piace e vuoi in quel momento, il lato oscuro della medaglia, come dicevi tu, è che anche la scena punk si è fossilizzata sul catalogare e dividere in generi e sottogeneri diminuendo in modo drastico la possibilità di suonare dal vivo.

Avete scelto di omaggiare “Fiaba” e “Avviso ai Naviganti”, due pezzi che sanno di polvere, lacrime e resistenza. Quando vi siete messi a reinterpretarli, che tipo di rispetto – o irriverenza – vi siete concessi?
REB: Anche qui dobbiamo dividere le cose. Per Fiaba il passaggio è stato molto naturale, in quanto è un pezzo che proponiamo da diverso tempo “live” e che in molti ci avevano chiesto di registrare. Carlame ha scritto e continua a scrivere testi incredibili e abbiamo deciso attraverso la voce di Elena di renderlo ancora più intimo, intenso e carico di emotività.
Avviso Ai Naviganti invece è un omaggio alla “poesia di strada” di Sigaro, un modo per ricordarlo e digli grazie in qualche modo. Ovviamente zero irriverenza e tanto rispetto, ma come sempre anche la totale libertà di reinterpretarli a modo nostro.

Vi portate dietro vent’anni di musica, di palco, di lotte. Guardandovi indietro, qual è stato il momento in cui avete sentito di “non suonare più solo per voi stessi”, ma per qualcosa di più grande?
REB: Abbiamo iniziato a fare musica per parlare di cose scomode, quindi da subito il nostro modo di fare musica è stato per qualcosa di più grande che non è riempire i locali, ma piuttosto la mente e il cuore di chi ascolta. Spero sempre che chi ci ascolta, anche se pochi, poi siano curiosi di andare a capire di cosa parliamo e cercare nel loro piccolo di trovare un modo per “stare dalla parte del torto”, oltre di ascoltare quel che la nostra musica trasmette , qualunque sentimento sia, per sentirsi vivi in un mondo di zombie.

“Io Non Suono Per Te” è un titolo che sembra un manifesto: contro chi o contro cosa suonate oggi più che mai?
REB: Sì, in questo determinato periodo è proprio un manifesto, qualcosa che viene dalle viscere e che abbiamo sentito il bisogno di urlare. E’ un urlo che non va contro il mainstream – di quello frega poco o nulla da sempre- ma piuttosto contro la nostra stessa scena che da qualche tempo sembra aver preso una piega che a noi non piace, sempre più incentrata sull’io e poco sul noi.

Se i Guacamaya potessero lasciare un messaggio inciso sul muro di una strada di periferia, oggi, quale sarebbe?
REB: Credo che scriverei di nuovo “SUONO VELENO, URLO SOGNI”, che è la frase finale di un pezzo del nostro album antecedente a questo. In un mondo dove cercano di rendere un placebo anche il veleno, cioè di rendere “di plastica e finto” ogni sentimento, voi siate veri e sinceri e non smettete mai di sognare in grande.

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