ARCHITECTS + BEARTOOTH + POLARIS @ Alcatraz (Milano)

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Sam Carter e soci vennero a promuovere il fortunato Lost Forever // Lost Together a Romagnano Sesia, ma anche dalla loro precedente esperienza all’Alcatraz, con il palco in versione ridotta. Superando anche la tragedia che li ha colpiti, la percezione che si ha dell’importanza degli Architects all’interno della scena metalcore mondiale è ben rappresentata dal pienone che li accoglie questa volta nel locale meneghino. Pienone che, purtroppo, trattiene in una coda chilometrica molti dei presenti (noi compresi) e impedisce di assistere alla performance degli opener della serata, i Polaris. È un peccato, in quanto The Mortal Coil aveva impressionato tutti e ci sarebbe piaciuto saggiarne la bontà anche dal vivo. Poco male, ci saranno sicuramente altre opportunità di vedere gli australiani dalle nostre parti.

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Così come avremo altre opportunità di constatare i continui miglioramenti in sede live dei Beartooth. La band di Caleb Shomo nei tre quarti d’ora a disposizione dimostra ancora una volta una crescita esponenziale sia in fase di scrittura che nella riproposizione live. La band ha un ottimo tiro, e l’attacco frontale di Bad Listener è lì a rappresentarlo pienamente. Qualche incertezza qua e là, specie nella sezione ritmica, non intacca più di tanto un set che ha i suoi punti più alti con le ottime The Lines e In Between, tratte dal loro fortunato esordio. Come detto in precedenza, la band è in continua crescita, e dopo diversi cambi di lineup sembra aver trovato quella stabilità che può portarli ancora più avanti nel futuro.

L’attesa, però, è ovviamente tutta per i cinque di Brighton, che si presentano in forma smagliante ed accompagnati da un set imponente, che mantiene sempre ben visibili tutti i componenti della band, con l’aggiunta di uno schermo centrale che trasmette in continuazione immagini a tema e un impianto luci veramente di primo livello. Sam è il solito animale da palcoscenico, sempre in movimento, praticamente mai in difficoltà, capace di una prestazione a dir poco pazzesca nell’alternare tutti i suoi registri vocali. La sezione ritmica è impressionante, con Dan che ormai può essere considerato nell’olimpo dei migliori batteristi in circolazione. A cannibalizzare il setlist è ovviamente lo splendido Holy Hell, riproposto quasi interamente ed alternato sapientemente al precedente All Our Gods Have Abandoned Us. Del passato in chiave (quasi) math degli Architects rimane solo These Colours Don’t Run che scatena letteralmente il mosh, al pari di Gravedigger e Naysayer.

Personalmente, i punti più alti sono rappresentati dai due pezzi che aprono e chiudono l’ultimo lavoro in studio: Death Is Not Defeat, col suo intro cantato a squarciagola da tutto il locale che apre perfettamente il loro set, e la stupenda A Wasted Hymn, lancinante e malinconica che conclude tutto prima degli immancabili encore. Ed ovviamente parliamo dei pezzi più sentiti ed attesi, quella Gone With The Wind sulla quale aleggia il fantasma del compianto Tom Searle, ricordato al termine del pezzo da un cuore nero con le sue iniziali incise sopra e dai cori dei fan, e quella Doomsday che, ai tempi, rappresentò un po’ la rinascita della band dopo la scomparsa del chitarrista stesso. Gli Architects ormai sono una band di primissimo livello sotto tutti gli aspetti, e francamente questa performance alla quale molti hanno potuto assistere rappresenta una pietra di paragone imponente per come si debba suonare metal nel nuovo millennio, a livello di tecnica, di trasporto, di intensità. Difficile chiedere di più. [LA]

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