PARKWAY DRIVE + KILLSWITCH ENGAGE + THY ART IS MURDER @ Alcatraz (Milano)

Dopo l’incredibile performance degli Architects di circa due settimane fa, l’Alcatraz diventa terra di conquista aussie con il ritorno dei Parkway Drive, accompagnati da grossi calibri quali i connazionali Thy Art Is Murder e i Killswitch Engage. A causa anche dell’orario non propriamente adatto ai lavoratori, è un locale con molti spazi vuoti (e la situazione, a onor del vero, non migliorerà più di tanto neanche per gli headliner) ad accogliere i Thy Art Is Murder, che danno vita ad una vera e propria giostra del blast beat e del breakdown. Una mezz’ora scarsa che scorre via veloce e piacevole (aggettivo che suona strano di fronte alla brutalità di CJ e soci) e che fa passare anche in secondo piano la sensazione sempre diffusa di monotonia accoppiata alla loro proposta. Anche la cover di Du Hast è recepita bene dai presenti, tra i quali si nota la presenza anche di una nutrita fanbase della band.

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Dopo un veloce cambio di palco è tempo dei primi veri mostri sacri della serata: dopo le dichiarazioni social delle scorse settimane da parte di Jesse Leach a proposito della sua riabilitazione per ansia e depressione, era lecito essere un po’ titubanti su come si sarebbe presentata la band. Ogni dubbio viene però fugato dall’attacco di Rose Of Sharyn, che è solo l’inizio di un setlist a dir poco clamoroso. Il frontman appare rinato, e nel suo caso o nasconde bene il suo male profondo o è proprio vero che l’energia sprigionata dal palco e nel pit dai numerosi fans del combo del Massachusetts è la medicina migliore che possa desiderare. Impressionante però anche il resto della band, che sciorina un classico dopo l’altro con una precisione che solo chi ha sostanzialmente sdoganato il metalcore può permettersi. In una sorta di greatest hits, che pesca equamente tra gli album dell’era-Leach e quelli dell’era-Jones, sono la più recente Hate By Design ma, soprattutto, i grandi classici quali Temple From The Within, Last Serenade e Fixation Of The Darkness a riconsegnarci una band in stato di grazia, in attesa di un nuovo disco di prossima uscita.

Dopo la chiusura con In Due Time, è palpabile la soddisfazione dei presenti, soprattutto tra quelli con qualche capello grigio, e sembra quasi possibile leggere il pensiero comune, a mò di fumetto: per questa sera abbiamo già visto il meglio. E invece no, perché i Parkway Drive si presentano pesanti come un carro armato e con un assalto frontale che lascia sinceramente senza parole. Diversi fans della band, soprattutto i più intransigenti, sono rimasti non propriamente soddisfatti dal loro ultimo lavoro, ma la resa live di Wishing Wells, Absolute Power e Prey fuga immediatamente ogni dubbio, e soprattutto la seconda viene cantata a squarciagola da tutti i presenti. Chi ha avuto il piacere di seguire la band, specie in sede live, dai suoi esordi fino ad oggi non può non aver constatato l’enorme evoluzione degli australiani: senza perdere un grammo della propria positività e dell’innata voglia di divertirsi, i Parkway Drive ormai sono una band di primissimo piano, con tutto quello che ne consegue anche a livello di spettacolo portato sul palco (che però, purtroppo, è privo di tutti quei giochi pirotecnici proposti negli altri palchi europei e vietati dalla legislazione italiana). Il setlist, com’è ovvio che sia, pesca soprattutto dagli ultimi due lavori, quelli della trasformazione sonora della band verso un metal più alternative che core, ma ripescando chiaramente alcuni pezzi che hanno fatto grande il nome della band, quali Carrion, Karma e una clamorosa Wild Eyes che scatena letteralmente l’inferno.

La crescita e la maturità della band della Byron Bay è dimostrata anche nella parte finale, quando sale un quartetto d’archi tutto al femminile ad accompagnare la band su Writings On The Wall e l’ultimo singolo Shadow Boxing, un momento che qualche anno fa mai ci saremmo aspettati da questa band e che invece ora ci dà pienamente la sensazione della loro poliedricità. Dopo il momento molto intimo di Winston accompagnato dalla sola violoncellista su The Colour of Leaving, la chiusura, però, è logicamente con il botto: Crushed si abbatte sui presenti come un macigno, e il groove di Bottom Feeder permette a tutti, band e fans, di spremere le ultime energie rimaste per salutarsi nella maniera migliore possibile. Sbilanciamoci, senza troppi giri di parole: quello tra Killswitch Engage e Parkway Drive sarà a conti fatti uno dei live più belli e intensi del 2019. Gli assenti non potranno che mangiarsi i gomiti, altro che le mani. [LA]

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